Secondo un report dell’Ocse, pubblicato in questi giorni, in Italia il 35% delle persone fa un lavoro che non ha nulla a che vedere con il percorso di studi che ha fatto.
Il report dal titolo “Ottenere le giuste competenze”, rielabora i contenuti della prima indagine sulle competenze nel mercato del lavoro italiano, pubblicata da Ocse nel mese di ottobre.
Questa richiesta di competenze risulta debole se sommata a un numero limitato di posti a disposizione, situazione che ha inoltre portato alla cosiddetta “fuga dei cervelli”. E’ in crescita il numero di giovani italiani, e non solo, che si recano all’estero in cerca di impieghi di qualità maggiore e meglio retribuiti. Secondo il report “i titoli di studio e le qualifiche danno un’indicazione molto debole delle reali competenze e abilità degli studenti e dei lavoratori che li possiedono”.
Di fronte a questa situazione, evidenzia OCSE, occorre puntare di più sulle competenze, e in particolare sulla formazione tecnica e professionale. E, ancora, rafforzare il collegamento tra stipendi e produttività al fine di stimolare un migliore allineamento tra le skills disponibili e quelle richieste su tutto il territorio nazionale.
“Il 6% circa dei lavoratori in Italia hanno competenze insoddisfacenti mentre il 18% è sotto-qualificato, contro l’11,7% delle persone con competenze con alti livelli di competenze e il 21% di lavoratori ultra qualificati. Il Paese ha bisogno di rafforzare l’efficacia dei percorsi di formazione tecnica e professionale e ridurre la frammentarietà affinché questi vengano percepiti come opzioni educative di alto livello”, si legge nel rapporto.
Ocse considera inoltre di grande importanza le attività di orientamento dirette ai giovani e alle famiglie in quanto possono contribuire a ridurre la dicotomia fra licei da una parte, e istituti tecnici e professionali dall’altra.
“Questo può inoltre contribuire a ridurre il peso che il contesto socioeconomico continua ad avere nelle scelte educative delle famiglie e degli studenti. Sono ancora pochi i giovani che, provenendo da ambienti socio-economici svantaggiati, scelgono i licei”. D’altro canto,gli studenti provenienti da contesti socio-economici avvantaggiati tendono ad ignorare la possibilità di iscriversi a percorsi tecnico-professionali, ancora percepiti come opzioni educative di qualità inferiore”. Tale situazione non fa altro che rafforzare la segregazione fra i diversi percorsi di studio che si riflette, a sua volta, in una segregazione sia sociale che economica.
Le opportunità lavorative si delineano con più facilità se si hanno in contatti giusti.
“In Italia, le offerte di lavoro rimangano ‘nascoste’ a chi non possieda un buon network personale o professionale”, si legge nel testo dell’indagine. Reti familiari e conoscenze personali vengono spesso preferite ai canali di reclutamento pubblici, con la conseguenza che “questi meccanismi tendono a premiare coloro che hanno un buon network piuttosto che i candidati con le migliori competenze”.
I titoli di studio e le qualifiche forniscono indicazioni deboli sulle reali competenze degli studenti e abilità degli studenti e dei lavoratori che li possiedono. Ragionando dal punto di vista delle imprese, le incertezze sulle reali competenze dei laureati, non fa altro che rendere il processo di selezione e assunzione particolarmente difficile, soprattutto nel caso di giovani laureati e candidati con poca esperienza lavorativa. Dall’altro lato, risulta piuttosto contenuta, da parte delle piccole e medie aziende, la richiesta di lavoratori con competenze di alto livello. Si tratta in particolare di realtà aziendali con un livello di produttività contenuto, bassa internazionalizzazione e caratterizzate da un ricorso limitato alle nuove tecnologie.
L’indagine segnala infine che l’espansione nell’utilizzo di nuovi strumenti interconnessi e dispositivi digitali così come la raccolta, disponibilità e utilizzo di dati nei processi industriali e produttivi sta ponendo importanti sfide ai lavoratori di tutti i Paesi Ocse.
Le sfide della digitalizzazione rivestono un’importanza rilevante in un contesto, come quello italiano, fatto di piccole e medie imprese a basso contenuto tecnologico ed esposte alla competizione internazionale. “I nuovi interventi legati al piano Industria 4.0 sono un passo nella giusta direzione poiché stimolano l’adozione di nuove tecnologie e rafforzano la domanda di competenze digitali. Affinché le misure I4.0 siano realmente efficaci, la qualità e la tipologia delle competenze sviluppate dai lavoratori italiani, così come quelle della classe manageriale italiana, dovranno sottostare ad una sostanziale trasformazione”, segnala l’Organizzazione.
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